Vincenzo Chiesa ricorda uno scritto polemico apparso su Il Ribelle “I PARTIGIANI E I POLITICI NEL PERIODO DELLA RESISTENZA ITALIANA”.
“Noi e loro” è il titolo di un articolo apparso nel 1944 sul giornale clandestino dei partigiani “IL RIBELLE”; sul suo frontespizio stava scritto, sotto la data della pubblicazione, la frase ”Esce come e quando può”.
Il giornale veniva recapitato nella buca delle lettere di ogni casa con grande rischio del latore che, se scoperto durante le varie perquisizioni della polizia, era immediatamente arrestato, portato in prigione e torturato per scoprire gli organizzatori e promotori del foglio inneggiante alla lotta per la libertà, per l’antifascismo e per la pace. Astolfo Lunardi, Giacomo Perlasca e altri, proprio per questo, vennero giudicati sommariamente e fucilati in una delle caserme di Brescia.
Il foglio recava, solitamente, la cronaca delle operazioni belliche operate dai partigiani lombardi e piemontesi ed era completato da articoli di fondo inneggianti alla libertà democratica e critici verso il nuovo fascismo asservito ai padroni tedeschi che opprimevano l’ Italia con la forza delle armi. Esso testimoniava che l’opposizione al nuovo fascismo era ormai nata e ben radicata nella coscienza di molti Italiani!
Il foglio veniva conservato in gran segreto, unitamente a tutte le altre numerose pubblicazioni del genere, e letto dalle famiglie le quali apprendevano con grande e intima soddisfazione le vittorie della guerriglia partigiana e le sconfitte degli avversari.
Ricordo un articolo di fondo apparso su il “Ribelle” firmato con uno pseudonimo da Teresio Olivelli, uomo di grande cultura, legato al cattolicesimo e già rettore del notissimo collegio ”Ghisleri”di Pavia dove confluivano le più elevate menti di studenti italiani ed il fiore dell’intellighenzia nazionale.
Olivelli, poi arrestato e messo nel lager di Bergen-Belsen ove morì nell’aprile 1945, in quel suo articolo divideva gli antifascisti amanti della libertà in due categorie: i partigiani ed i politici di professione.
I partigiani -scriveva- per la loro natura si erano armati per dedicarsi alla guerra contro il nemico comune. Essi non avevano altra ambizione se non quella di conquistare la libertà e la pace mettendo sul piatto della bilancia anche la loro vita e gli affetti familiari. Erano uomini che mal sopportavano la servitù mascherata di alleanza ed a tutto erano disposti pur di combattere il nemico, sia quello straniero sia quello nazionale; erano uomini che non piegavano la testa e affrontavano virilmente, con le armi conquistate al nemico, i collaborazionisti e gli odiati tedeschi massacratori.
Uomini siffatti erano insorti in tutte le nazioni d’Europa e anche gli Italiani si erano dimostrati degni di conquistarsi la libertà da loro stessi con la netta determinazione che li spingeva nella loro azione.
Secondo Olivelli, essi formavano una categoria degna delle battaglie risorgimentali e quel periodo poteva essere definito come il ”terzo risorgimento”: le fucilazioni dei partigiani catturati e dei loro collaboratori non facevano altro che far insorgere altri combattenti per la libertà; più l’oppressore infuriava e più uomini degni di tal nome sorgevano e ne prendevano il posto.
La seconda categoria considerata da Olivelli era quella costituita dai politici di professione, pure loro antifascisti ma privi dello spirito bellico che allora necessitava. Essi rifuggivano dalla lotta armata per ottenere la vittoria finale e restavano chiusi nelle loro comode case, preparandosi al governo della nazione, una volta che passata la bufera.
Alla fine della guerra -sosteneva Olivelli- i partigiani avrebbero sciolto le proprie “bande” e avrebbero fatto un passo indietro sul palcoscenico della storia, tornando alla normalità della vita e al lavoro come ogni altro cittadino amante della pace, della libertà e del progresso.
I politici di professione, invece, avrebbero fatto un passo in avanti occupando il posto reso disponibile dai coraggiosi ed indomiti partigiani e avrebbero iniziato la loro opera di innovazione politica e sociale della Nazione.
Tra le due categorie disegnate da Olivelli vi era una profonda e incolmabile diversità: i primi sacrificavano anche la loro vita con le armi in pugno e con il coraggio che li avrebbe portati alla vittoria; i secondi nulla sacrificavano ed attendevano solamente che il fato si compisse per governare il Paese e godere i benefici morali e materiali di ogni dirigenza.
Io ho conosciuto uno di questi epigoni quando, durante una licenza, sono tornato in pianura. Costui, G. S., mi parlò molto chiaro quasi irridendo al mio essere partigiano e affermando che lui e la classe dei politici come lui erano più importanti di noi e quindi non potevano e non dovevano rischiare la vita combattendo. La loro vita sarebbe risultata in seguito più utile della nostra per costruire una nuova società –diceva- governata dagli operai.
Le due parti potevano essere d’accordo sul modo di ostacolare e cacciare il nemico comune ma non erano accomunate dal modo di essere e di fare.
L’assunto del politico G. S. si verificò esattamente: egli divenne un dirigente della camera del lavoro ed infine onorevole con incarichi sempre più importanti; da povero che era, divenne ricco e osannato. Era riuscito nel suo intento anche perché durante gli ultimi mesi di guerra aveva ospitato e nascosto in casa propria il figlio di quel Giacomo Matteotti trucidato dai fascisti a Roma nell’anno 1924.
Pralboino 24 marzo2005
Enzo Chiesa (partigiano PINO)