Vincenzo Chiesa: mio padre

Mio padre, Augusto Chiesa, era nato a Bologna nel 1894 ed è defunto in Brescia nel 1955.
Proveniva da una famiglia in cui tutti erano dipendenti delle Ferrovie dello Stato; mio nonno era stato capo stazione a Viadana di Calvisano.
I ferrovieri, si sa, venivano trasferiti spesso da un località all’altra per causa di servizio e per tale motivo i 5 figli di mio nonno sono nati in diversi luoghi dell’Italia.

Vincenzo Chiesa gioca a tombola

Vincenzo Chiesa gioca a tombola

Mio padre si vantava di essere nato a Bologna (“LA DOTTA” – come amava spesso ripetere). Durante la Rivoluzione Russa aveva partecipato ad uno sciopero per non fare partire da Brescia un treno merci carico di armi provenienti dai paesi democratici che avversavano il comunismo, armi destinate ai russi bianchi, cioè ai contro-rivoluzionari contrari alla dittatura del proletariato comunista.
Per aver partecipato a quello sciopero si era implicitamente dichiarato antifascista e per tale ragione era stato poi licenziato dalle ferrovie statali nel 1924 e messo sulla strada con una famiglia composta da me che avevo due anni e da una moglie che fortunatamente era sarta provetta, guadagnava bene e manteneva lei sola tutta la famiglia.
Mio padre era un socialista fervente, aveva smesso di fumare il 28 ottobre del 1922 per protesta contro il fascismo che proprio quel giorno aveva preso il Potere in Italia; ed aveva ripreso a fumare il 25 luglio del 1943 per festeggiare così la caduta di Mussolini.
Aveva cercato in ogni modo di fare di me un socialista ma inutilmente in quanto i miei studi universitari di economia mi avevano ormai indotto a privilegiare l’economia di mercato ed a rifiutare l’economia dirigista sfociante, in ultima analisi, nell’anarchia e quindi nel disordine elevato a regola.

Vincenzo impegnato nella tombolata settimanaleMio padre non si era mai iscritto al Partito Fascista nemmeno quando, lui disoccupato, gli avevano offerto un posto fisso quale intenditore di cereali al Consorzio Agrario di Brescia purché prendesse la tessera del Partito fascista (condizione questa “sine qua non”); pur senza alcun reddito, salvo qualche raro affare come mediatore di fornerie, aveva sdegnosamente rifiutato.
Era il periodo della Repubblica Sociale di Salò: i fascisti erano divenuti feroci ed io ero in montagna con i partigiani. Bastava un nonnulla perché venissimo scoperti – lui antifascista ed io partigiano – e venissimo liquidati in Germania o in prigione.
I vicini di casa erano convinti fascisti e continuamente chiedevano il perché della mia assenza da casa dato che non ero soldato. Ma dai miei genitori non seppero mai nulla e così fummo tutti salvi.
Erano allora tempi davvero paurosi. In piazza Rovetta a Brescia fascisti facinorosi ed assassini, alle 3 di notte avevano svegliato tre noti antifascisti, li avevano fatti scendere al piano terra e li avevano poi uccisi con raffiche di mitra, lasciandoli sul marciapiede della casa come monito per tutta la popolazione cittadina. Tale assassinio pubblico aveva poi provocato rappresaglie comuniste: uccidevano per strada soldati e ufficiali della Repubblica di Salò.
Ricordo ancora la notizia del triste evento raccontata in casa da mio padre, il quale dopo poche settimane venne ad accompagnarmi in bicicletta a Pezzaze dove mi sono unito ai partigiani; abbiamo passato due posti di blocco formati da tedeschi e fascisti ma tutto è andato bene.
Mio padre è poi tornato a Brescia cavalcando la sua bicicletta e trascinando con una mano la mia. E’ stato per me un grande esempio di ardimento che non potrò mai dimenticare: quello di accompagnare il proprio figlio in guerra assieme ai partigiani, ben sapendo che le mie probabilità di ritornare vivo erano piuttosto scarse; ed i giornali di allora erano zeppi di notizie riguardanti la cattura di ribelli contro la Repubblica Sociale e si sapeva anche che i ribelli, prima dell’uccisione, erano sottoposti a tremende torture affinché confessassero le posizioni dei gruppi partigiani nonché nomi, cognomi ed indirizzi dei loro commilitoni.
Anche mia madre, in quell’occasione, si era mostrata serena, limitandosi a nascondere qualche lacrima e baciandomi con ardore al momento della partenza.
Di mio padre ho un ricordo vivido, soprattutto della sua intransigenza al fascio e della sua dirittura ed onestà che ho sempre cercato di imitare nella mia professione e nella vita.
CIAO PAPA’

Pralboino, 29 marzo 2004

Vincenzo Chiesa

Pubblicato in I nonni raccontano.