Pochi giorni prima del 25 aprile 1945 i partigiani delle formazioni “Fiamme verdi”, che agivano sui monti dell’alta valle Sabbia alle pendici della Corna Blacca, sul versante del Comune di Pertica Alta, avevano abbandonato definitivamente le malghe ed i fienili fino allora occupati e, intuendo che la guerra era ormai al termine, erano scesi dai monti ritenendo più utile la loro presenza nei diversi paesi del fondo valle.
I partigiani o “ribelli” o “volontari della libertà”, come allora erano chiamati dai loro amici montanari, e, in genere, da tutta la popolazione, avevano occupato i paesi valsabbini da Vobarno a Idro e controllavano ormai l’intera zona.
Essi da circa due anni compivano azioni di guerriglia contro i tedeschi ed i loro alleati fascisti assaltando caserme e gruppi armati isolati, attuando piccole azioni di guerriglia (attentati a tralicci, ad automezzi tedeschi ecc..). Proprio per questo i nazi-fascisti li consideravano nemici e organizzavano rastrellamenti massicci sui monti e altre operazioni militari per catturarli e giustiziarli.
Molti tra i ribelli erano montanari di quelle stesse località, perciò, anche per motivi di parentela e d’amicizia, usufruivano della benevolenza di tutta la popolazione valligiana che li aiutava rifornendoli di cibo e di medicinali, segnalando pericoli e sorvegliando le numerose spie fasciste. Essendo i partigiani scesi dai monti dopo molti mesi di sacrifici, di combattimenti, di rappresaglie e di contro-rappresaglie, la popolazione li festeggiava e simpatizzava con loro invitandoli collettivamente a banchetti, balli e intrattenimenti vari. L’arrivo dei partigiani in pianura significava, poi, per la gente, non solo la fine della guerra e di un periodo di vita molto dura e difficile, ma anche la speranza di un rapido ritorno alla normalità della vita civile. La fine della guerra, infine, faceva intravedere anche il ritorno in famiglia di tutti i soldati assenti per lungo tempo da casa perché impegnati nelle campagne militari d’Africa, di Russia, di Grecia ecc… Ai ribelli scesi dai monti si erano uniti i partigiani dell’ultima ora nonché molti simpatizzanti e i prigionieri di guerra inglesi e slavi, fuggiti dal campo di prigionia di Vestone. Io, “PINO” (Vincenzo Chiesa), partigiano delle Fiamme Verdi “Divisione Tito Speri” “Brigata Giacomo Perlasca gruppo “S.4″, dopo la stasi invernale delle operazioni di guerriglia, ero giunto a Nozza in bicicletta da Brescia con il mio amico, nonché partigiano e cugino carissimo, “CARLO”, al secolo Mario Reboldi, che faceva parte del mio stesso reparto. La nostra vita, dopo quasi due anni di ribellismo passati alla macchia, dormendo e mangiando come e quando si poteva, era finalmente invidiabile e felice in mezzo a tutte le gentilezze di cui eravamo i destinatari. Era fatale, in ogni modo, che così non potesse durare a lungo. La notte tra il 28 e il 29 aprile era trascorsa tranquilla e nessuno si era accorto che un piccolo gruppo di tedeschi, probabilmente del Genio Guastatori, era passato dal paese in veloce fuga verso l’Austria, inseguìto dai soldati americani che tallonavano vittoriosamente quelli del potente Reich, per i quali ormai era valido il vecchio e noto aforisma “soldato che fugge, buono per un’altra volta”. Quel reparto di guastatori evidentemente aveva il compito di facilitare la rapida ritirata dei loro camerati; infatti, nell’abitato di Nozza aveva manomesso il ponte che attraversa e divide in due il paese, rendendolo così intransitabile; e pochi chilometri più avanti aveva fatto saltare un altro ponte ad arcate posto sul fiume Abbioccolo situato tra il paese di Lavenone e quello di Idro-Lemprato quasi sul lago d’Idro. In quest’ultimo tratto di strada infine i guastatori tedeschi avevano anche minato e fatto saltare il versante della montagna a ridosso della strada statale per ostruirla con grossi massi, rocce, alberi, pietrame e molta terra e impedire così il transito di veicoli a ruote su quella pubblica via. Ma, tornando a Nozza, ricordo che noi partigiani eravamo ridotti piuttosto male: barbe lunghe, divise sporche e stracciate, scarpe quasi sfondate dopo il lungo, freddo e nevoso inverno sui monti. La mattina del 29 APRILE, verso le ore 8.30, giunge al nostro comando una sconcertante telefonata dalla S.T.I.P.E.L. di Salò: “State attenti! Una grossa colonna motorizzata tedesca partita da Tormini e diretta a Riva di Trento attraverso la Gardesana Occidentale è tornata indietro a causa di una frana sul percorso ed ora ha imboccato la strada della Valle Sabbia. Tra poco li avrete addosso!” La notizia non è allegra e capita proprio quando ormai crediamo di aver finito con i fascisti repubblichini e i tedeschi. Ma tant’è: si deve fare buon viso a cattivo gioco. Gli ordini sono di non muoversi, di non parlare e di trovare una sistemazione difensiva ai lati della strada statale asfaltata. Noi dell’S.4 siamo vicinissimi, non più di sei metri, al cimitero del paese, e ci sistemiamo dietro le rocce che sporgono qua e là dal terreno, alte circa 50 cm e larghe altrettanto, aspettando la colonna nazista che, essendo motorizzata, non avrebbe impiegato più di 30 minuti per coprire il percorso da Salò a Nozza.
Trascorre la mezz’ora ipotizzata ma di tedeschi non si vede l’ombra, anche se tutti noi abbiamo il cuore in fermento per l’attesa e per l’imminente nerofuturo che ci attende, data la disparità di forze in campo. Del resto non abbiamo armi pesanti, né sapremmo usarle: abbiamo solo armi leggere, fucili del 1891 usati nella precedente Grande Guerra, qualche mitra e poche rivoltelle. Inoltre i tedeschi, (come sapremo poi), sono ben 750 mentre noi siamo solo poco più di 100 partigiani in grado di usare armi e tra questi i veri partigiani,
come noi dell’S4, capaci di combattere, non sono più di 20.
Gli altri sono i partigiani dell’ultima ora, più che altro simpatizzanti sui quali non si può certo fare affidamento sotto l’aspetto militare per resistere contro reparti dell’esercito tedesco, adusi alla battaglia e dotati di parecchie armi perfettamente funzionanti nonché di automezzi veloci e corazzati.
Fortunatamente i tedeschi passati la notte precedente avevano abbandonato in paese, sotto un portico, un cannone anticarro da 88 mm., forse il migliore tra tutti quelli in dotazione agli eserciti belligeranti di allora.
Il suo funzionamento ci era stato insegnato, sotto la minaccia delle armi, da un prigioniero tedesco, ma il cannone era privo degli strumenti di puntamento. Tuttavia il nostro commilitone di nome “Tar”, Tarquinio Valetti, pur non conoscendo l’arma, aveva preso la mira guardando dentro la canna e aveva centrato in pieno il cartello toponomastico con la scritta “Nozza” situato a circa mille metri dalle nostre postazioni e vicinissimo al “Ponte Re” che attraversa il fiume Chiese.
La notizia della cannonata giunta perfettamente a bersaglio e il ritrovamento di certe armi leggere della Wermatch ci avevano dato un po’ più di fiducia.
Dopo oltre un’ora di attesa dalla telefonata proveniente da Salò, vediamo arrivare un autocarro tedesco che molto lentamente attraversa il ponte Re. La colonna adesso è finalmente arrivata ed ora tocca a noi sbrigarcela. Gli automezzi tedeschi si sono fermati sul rettilineo dello stradone, ma gli ordini per noi non cambiano: sistemarsi in difesa ai due lati della strada, coprirsi, non farsi notare, non parlare, essere pronti a fare fuoco e anche a subirlo.
E’ certo che ci hanno visti ed hanno anche notato il cannone da noi volutamente lasciato in mezzo alla strada.
Il tempo continua a trascorrere lentamente o velocemente secondo i punti di vista e secondo lo stato d’animo di ciascuno di noi ed intanto noi siamo sempre stesi a terra sotto il sole, immobili e silenziosi. Io sono ben sistemato, così almeno credo, dietro una roccia che fuoriesce dal terreno e impartisco, a bassa voce, alcuni suggerimenti di tattica militare appresi l’anno precedente al corso Allievi Ufficiali di Complemento del Regio Esercito Italiano a Pietra Ligure e a Roma.
La colonna nazista è sempre ferma sul rettifilo e noi sempre inquieti nella attesa che i tedeschi, allocati in una sistemazione migliore della nostra, essendo coperti alla nostra vista da una fitta vegetazione ed in enorme soprannumero rispetto a noi, prendano una decisione qualsiasi.
Ed ecco che verso le ore 11.00 si verifica un episodio del tutto inatteso ma significativo: dall’autocolonna germanica si stacca un drappello di tre uomini che, camminando lentamente al centro della strada, si dirige verso di noi. Uno dei tre reca ben visibile un drappo bianco e fa capire con ampi gesti di voler parlamentare. Tre dei nostri gli vanno incontro: il primo è “Paolo” (Paolo Pagliano), il nostro capogruppo dell’S 4 già tenente del Regio Esercito Italiano; il secondo dei nostri è il partigiano Fiamma Verde “BRUNO” (Giori Francesco) di Nozza del nostro gruppo S.4, ex alpino nel battaglione ValChiese della Divisione Alpina “Tridentina” che, come è noto, combattendo a Nikolajevka (Russia), aveva rotto l’accerchiamento russo permettendo a un buon numero di soldati italiani di salvarsi dalla prigionia in Siberia; il terzo nostro parlamentare è il parroco del paese, Don Primo Alessio Leali, che sulla tonaca nera ha indossato un paramento ecclesiastico bianco.
I sei si incontrano a mezza strada: i tedeschi si irrigidiscono sull’attenti e fanno il saluto militare; i nostri rispondono al saluto. Dopo poco, tutti si avviano verso la colonna motorizzata.
Io non vedo più niente a causa della vegetazione che nasconde la strada ed il ponte; perciò quel che segue di questo racconto, mi è stato poi dichiarato dai partecipanti a quel convegno.
I nostri sono portati davanti al Comandante della colonna, un uomo grassoccio, con la faccia rasata e incorniciata da radi capelli biondi che valorizzano l’azzurro degli occhi; il volto è duro, sprezzante alla vista dei nostri, (conciati come ho già detto!): insomma il tipico generale teutonico autoritario e aduso ad essere ciecamente obbedito.
Con l’aiuto di uno dei tre tedeschi del drappello, che parla correttamente l’italiano, probabilmente un italiano altoatesino di lingua tedesca, si svolge il colloquio che segue.
– Ufficiale tedesco: “Noi vogliamo raggiungere i nostri camerati in Germania; garantiamo di non recare danni alle cose né alla popolazione ma dobbiamo e vogliamo assolutamente passare e passeremo. Siamo venuti in Italia per difendere il vostro Paese ed ora voi ci contrastate”.
– Paolo: “Voi potete passare se vi arrendete; inoltre i vostri camerati transitati di qui la notte scorsa hanno fatto saltare due ponti sui fiumi ed hanno poi minato la strada tra i paesi di Lavenone e Idro. Vi avverto, infine, che tutta la zona fino a Trento è controllata dai partigiani. Voi -continua Paolo- non siete venuti in Italia per difenderci, ma solo per salvare Mussolini ed il Fascismo di cui gli italiani vogliono invece disfarsi”.
Il Comandante della colonna ribatte che essi, prima di prendere una qualsiasi decisione, vogliono vedere le condizioni dei ponti e della strada perché i loro soldati sono capaci di fare le riparazioni necessarie per consentire il passaggio.
“Paolo” ribatte che gli americani sono al corrente della situazione e possono intervenire e ancora aggiunge: “passando da Vobarno voi avrete certamente visto una centrale elettrica che sarà sicuramente segnalata anche sulle vostre carte topografiche. Ebbene quella centrale è alimentata dall’acqua del lago d’Idro attraverso una galleria scavata nella montagna; se i nostri lo vogliono, possono aprire le chiuse del lago riversando tutta l’acqua nel fiume Chiese e rendendo inutilizzabili le massicciate guadabili eventualmente costruite dai vostri soldati”.
L’ufficiale tedesco non riesce a nascondere un gesto di rabbia, ma ripete che loro passeranno in ogni caso; i suoi soldati faranno le riparazioni necessarie senza lasciarsi intimorire dai partigiani del resto già sconfitti a Tormini, a Vobarno e a Sabbio Chiese (e questo, sapremo poi, era vero. Infatti, erano stati attaccati ai Tormini dal gruppo di “Niko” ed erano passati dopo aver ucciso un partigiano; erano nuovamente stati attaccati a Vobarno ed anche lì erano passati lasciando sul terreno un altro partigiano della brigata “Garibaldi”; infine si erano scontrati con un gruppo di partigiani pure a Sabbio Chiese, a circa due chilometri dalla nostra postazione, crivellando di colpi un componente del gruppo di “Gigi” (Luigi Bollani).
L’incontro si conclude con l’intesa che loro avrebbero valutato la situazione e avrebbero dato la risposta alle 5.00 del pomeriggio. Un’autovettura tedesca si presenta sulla strada e vi salgono tutti i sei parlamentari. L’ufficiale tedesco, quello che parla l’italiano, è bendato affinché non veda le nostre postazioni; tutti gli altri sono in piedi e tengono bene in vista i drappi bianchi.
Ricordo bene, come fosse avvenuto ieri, l’emozione provata al passaggio dell’automobile a pochi metri da noi.
Trascorsi circa 40-50 minuti, l’auto ritorna e “Paolo”, uno dei passeggeri, sventola la bandiera tricolore ancora con lo stemma sabaudo.
I tedeschi confermano che il loro comando valuterà la situazione e darà risposta tra poco.
Mentre i parlamentari tornano nelle rispettive posizioni, si avverte il rombo sordo dei motori di aerei: sono due “caccia” americani ad alta quota. Essi, individuata la colonna tedesca, scendono in basso e sorvolano lentamente, avanti e indietro, il convoglio nemico senza peraltro fare fuoco o sganciare bombe. Si tratta evidentemente solo di un avvertimento, anche se molto chiaro e convincente.
Nel frattempo quasi tutti gli abitanti di Nozza e viciniori si erano recati sul versante sinistro della montagna e in posizione buona sia per assistere alla eventuale imminente battaglia sia per evitare le possibili conseguenze di una rappresaglia tedesca su cose e persone. Ed intanto parlavano tra loro a voce ben udibile dalla strada dando l’impressione di essere un’enorme massa di persone. Ritengo che tale fatto abbia impressionato i tedeschi e li abbia convinti di essere circondati da centinaia e centinaia di partigiani. Fatto sta che pochi attimi dopo i tedeschi si avvicinano a noi per comunicarci l’intenzione di arrendersi a certe condizioni di carattere umanitario. Essi vogliono poter portare con sé i compagni feriti e le due cucine di cui dispongono; vogliono poter tenere le loro 20 biciclette perché parecchi soldati hanno i piedi gonfi e non possono camminare; infine chiedono che ai loro 12 ufficiali siano lasciate le rivoltelle.
Questa ultima condizione viene da noi accettata a patto che le rivoltelle siano scariche e che le altre armi vengano lasciate sulla strada accanto agli automezzi.
Subito dopo l’accordo verbale, i soldati del Reich, in fila indiana, raggiungono le nostre posizioni e vengono presi in consegna dagli americani giunti nel frattempo a Nozza. I tedeschi si strappano e gettano a terra la fascetta nera che portano al polso della manica sinistra; su di essa sta scritto il nome della loro divisione, cioè: “REICH FUHRER S.S.”.
Dopo oltre vent’anni da quell’avvenimento sono venuto a conoscenza, durante una trasmissione della R.A.I., che la divisione REICH FUHRER S .S. aveva compiuto una strage in Emilia nella cittadina di Marzabotto, uccidendo per rappresaglia ben 1830 persone, compresi anziani, donne e bambini.
Ancora oggi mi chiedo come mai gli aerei americani non abbiano bombardato e annientato quegli assassini!
Quel giorno del 29 aprile 1945, comunque, resterà indelebile nei miei ricordi.
Pralboino, 4 dicembre 2002
Vincenzo Chiesa