Domenico Margini: il ritorno alle terre natie

Io penso che tutti, dopo aver vissuto in luoghi diversi, raggiunta una certa età, sentano forte il desiderio di ritornare alle origini, al paese dove sono nati. Il ricordo della fanciullezza e della giovinezza in esso trascorse, che non si è mai spento in loro, rinasce vigoroso e li spinge al grande ritorno. E così fu anche per me.
Avvenne in questo modo.
Alle gare venatorie che si svolgevano nelle campagne di Montichiari ed alle mostre canine partecipava sempre il conte Pietro Fenaroli, anch’egli di Seniga dove possedeva una splendida villa con parco e moltissima terra. Quando mi intrattenevo con lui a parlare di cani e di cacce, alla fine terminava sempre con questa frase: “Quando signor Margini vorrà tornare al paese, ci sarà sempre per lei un pezzo di terra!”
Purtroppo il conte passò a miglior vita prima che io andassi in pensione.
Gli subentrò nella cura del patrimonio il figlio Alessandro che nel 1963, quando decisi di fare il grande passo, mantenne le promesse del padre. Mi mostrò la terra disponibile e, individuate definitivamente la quantità e l’ubicazione, mi mandò dal suo agente, un certo Francesco Barbieri che era anche mio amico, per le pratiche del passaggio di proprietà. Devo però dire che, per quanto riguardava il prezzo, la volontà del defunto non fu interpretata correttamente: pagai molto di più del previsto. Comunque la mia felicità era talmente grande che questo passò in secondo ordine.
Dopo il terreno, la casa. Per il progetto mi rivolsi a degli amici geometri che lavoravano alla O.M. i quali si impegnarono a prepararlo per la ricompensa di una cena a base di selvaggina da prepararsi a casa mia.
Desideravo una casetta come quelle che vedevo in montagna quando andavo a caccia in val di Ledro, anche se Seniga si trova nel bel mezzo della Pianura Padana. Il progetto fu subito di mio gradimento e la fabbrica iniziò al più presto.

Il terreno era molto vasto e così decisi di realizzare davanti alla casa un grande orto ricco non solo di verdure ma anche di fiori. Sul lato posteriore lasciai le coltivazioni preesistenti (frumento, granoturco e vite), e ne affidai la cura alla famiglia di Giovanni Vergine che già le aveva in affitto col precedente proprietario.
Qui i miei sogni divennero realtà. Feci e disfeci a mio piacimento: pollaio per polli e galline, gabbie per i conigli, voliera per i fagiani che, molto numerosi, formarono un allevamento a carattere familiare. Facevo, spostavo, demolivo, rifacevo: un grande divertimento.

Quando la casa fu pronta decidemmo il giorno del trasloco. Se per me fu un giorno felice, non altrettanto lo fu per mia moglie. Era nata e vissuta in città e il pensiero di relegarsi in un paesino sperduto nella pianura la rattristava fino alle lacrime.
Vedendola così depressa, stava sorgendo in me il pensiero di lasciare tutto, di vendere la casa e il terreno e ritornare in città. Comunque ella volle provare la vita della campagna. Con il tempo il ricordo della città andava continuamente affievolendosi in lei che pian piano si stava abituando al nuovo ambiente. L ‘aria buona e gli amici simpatici fecero il miracolo.
Quando, dopo pò di tempo, le chiesi se volesse ancora tornare in città mi rispose che a Seniga si trovava molto bene e che la città non faceva più per lei. Fu per me un grande sollievo!
In quel di Seniga passammo anni veramente felici: aria sana, agricoltura, giardinaggio, caccia, pesca. Un bel cocktail per la felicità!

Dopo molti anni pensammo di lasciare quella casa e di trasferirci a Pralboino. Non eravamo più arzilli e forti come prima e non potevamo più fare i lavori pesanti dell’orto e del giardino, e curare tutti gli animali. Inoltre la vista cominciava a darmi dei problemi e non mi fidavo più a guidare l’automobile. Infatti avevo evitato per poco di investire dei pedoni per ben due volte.
Per recarmi in città dovevo usare la corriera che partiva da Seniga una volta al giorno mentre da Pralboino la frequenza era di una all’ora. Una bella differenza. Inoltre i miei compagni di caccia erano tutti di Pralboino.
Gli abitanti di questo paese non sono però come quelli di Seniga, pur essendoci solo pochi chilometri di distanza. La gelosia fra cacciatori (è più bravo chi uccide di più), fra i commercianti e fra tutta la gente rende difficile la convivenza. I pettegolezzi sono all’ordine del giorno.
Sono rimasto deluso da questa comunità. Per questo mi sono rifugiato da pochi ma sinceri amici lasciando con indifferenza tutti gli altri.

Domenico Margini

Pubblicato in I nonni raccontano.