Vincenzo Chiesa: quell’ asino di Ravelli

Vincenzo Chiesa racconta a modo suo un brano di A. Panzini, letto durante gli anni della sua carriera scolastica.

Nella terza classe di una Scuola media dell’Italia del nord, il professore, piuttosto anziano ed in attesa di mettersi in pensione dopo il meritevole servizio ultra decennale, spiegava ai suoi alunni il significato dei verbi transitivi e di quelli intransitivi.
I verbi transitivi, diceva, sono quelli la cui azione espressa dal verbo passa ad una cosa o ad una persona mentre i verbi intransitivi sono quelli la cui azione non si trasferisce.
Per esempio, diceva ancora, il verbo “amare” è transitivo in quanto l’azione di amare si manifesta e si trasferisce sull’essere che è oggetto dell’amore: in altre parole si può amare una persona o una cosa. Il verbo “piovere” è, invece, intransitivo per il motivo contrario, cioé l’azione del piovere non si trasferisce su qualcuno o qualcosa.
Tutti gli scolari avevano compreso la nozione spiegata dal professore ad eccezione dell’alunno Ravelli nella cui zucca sembrava non potesse entrare nulla, nonostante il professore si dilungasse nelle spiegazioni e negli esempi.
I giorni passavano ma Ravelli non sapeva ancora distinguere i verbi transitivi da quelli intransitivi per cui l’insegnante aveva ormai perduto ogni speranza ed in cuor suo pensava a “quell’asino di Ravelli” come ad una persona incapace, che non sarebbe potuto “riuscire in nulla” durante la vita.

Ravelli non si preoccupava del nomignolo affibbiatogli, anzi incominciò a disertare saltuariamente la scuola.
Alle domande del professore gli altri alunni rispondevano che il papà di Ravelli si era ammalato e che il figlio lo doveva aiutare nel lavoro di gestione di un box di frutta ai Magazzini Generali della città.
Trascorse altro tempo e Ravelli smise di frequentare la scuola perché, dicevano gli alunni al loro educatore, il padre di Ravelli era morto ed il figlio ne continuava l’attività.

Terminò così l’anno scolastico a cui seguirono altri anni ed il vecchio professore dovette recarsi ai mercati generali per acquistare un mezzo quintale di uva bianca: sua moglie era ammalata ed il medico aveva prescritto, come rimedio, che la signora bevesse a pasto un vinello leggero, poco alcolico e genuino.
Il professore frequentava ormai da settimane, nella stagione della vendemmia, il mercato della frutta per acquistare quel tipo speciale di uva, ma, per quanto chiedesse ai mercanti, non gli riusciva nemmeno di farsi ascoltare.
I commercianti, non appena sentito che si richiedeva solo mezzo quintale d’uva con il relativo trasporto a casa, voltavano le spalle al richiedente senza nemmeno degnarlo di una qualsiasi risposta e lasciandolo umiliato e ammutolito per la sfrontatezza subita.
Lui, letterato e professore, doveva subire i lazzi e i frizzi di quei mercanti villani e ignoranti senza poter comperare l’uva necessaria per la salute e la vita di sua moglie.

Una mattina, mentre si trovava al mercato per un ennesimo tentativo, udì una voce insistente alle sue spalle: ”Professore…professore!”
Si voltò e vide un giovane uomo in abbigliamento decoroso di lavoro.
“Scusi -disse l’insegnante- ma io non la conosco. Chiama proprio me?”
”Certamente, professore, non si ricorda di me? Sono Ravelli, quello dei verbi transitivi e intransitivi!”
A quelle parole, l’anziano professore ebbe un ritorno di memoria e improvvisamente si ricordò di ”quell’asino di Ravelli” da lui ritenuto incapace di affrontare la vita pratica e destinato a restare sempre un asino.
“Mi scusi, Ravelli, ma io non sono più giovane e dimentico tante cose. Lei lavora qui? Forse potrà aiutarmi in questa babilonia di mercato.”
“Che cosa posso fare per lei, caro professore?”
“ Ecco: io sto cercando da tempo un mezzo quintale di uva bianca, fresca di raccolto e non adulterata, per farne del vino bianco da dare a mia moglie che è molto ammalata. Con quel vino, a detta del medico, lei avrebbe molte possibilità di guarire. Non mi fraintenda, Ravelli, quel tipo di vino in commercio non si trova, ma sono disposto a spendere anche una forte somma per avere quell’uva. Io avrei bisogno anche di un carretto e di un cavallo per portare l’uva a casa mia, pigiarla con comodo e trattarla affinché non fermenti. Mi può aiutare lei, signor Ravelli?”
“Ma certamente professore: ci mancherebbe che io non potessi soddisfarla! Mi segua, per favore.”

A quel punto Ravelli prese l’iniziativa e cominciò a fare quanto promesso, dimostrandosi esperto e capace: entrava nei box dei mercanti, guardava la merce e ne valutava la qualità e il prezzo in modo competente, aveva pronti per ognuno lazzi, frizzi e nomignoli.
Il professore era esterrefatto: lui non era riuscito nemmeno a farsi ascoltare da quei cafoni, mentre il suo ex alunno, incapace a scuola, sapeva come trattare i mercanti e si dimostrava intraprendente, abile e intenditore di uomini e di mercanzia.
Con l’aiuto di Ravelli la situazione era mutata radicalmente: in meno di un’ora era pronto un carretto trainato da un cavallo col mezzo quintale di uva acquistata ad un prezzo ragionevole.
“Evidentemente -dovette ammettere a sé stesso il professore- i giudizi che si dànno sui giovani scolari si dimostrano qualche volta infondati o totalmente errati. La vita pratica, spesso, insegna molto di più della scuola: la conoscenza dei verbi transitivi ed intransitivi, per quanto importante nella formazione culturale della persona, non deve essere disgiunta dal buon senso e dal rispetto degli altri.”

Liberamente ricostruito da un racconto di A. Panzini

Pralboino, 6 marzo 2005

Enzo Chiesa

Pubblicato in I nonni raccontano.