Vincenzo Chiesa: la professione della signora Warren

Vincenzo racconta una famosa commedia di George Bernard Shaw

“La professione della signora Warren” è il titolo di una commedia teatrale composta da George Bernard Shaw, scrittore e commediografo inglese, dissacratore dei costumi e dei modi di pensare e giudicare dei suoi compatrioti, soprattutto della cosiddetta “buona società inglese”.

Riassumo la trama dell’opera.
La signora Warren è una donna londinese come tante, però intelligente ed astuta a tal punto da capovolgere la sua condizione sociale. Ella diventa la tenutaria di una casa di tolleranza, dove uomini ricchi ed altolocati si incontrano segretamente con donne e ragazze avvenenti ma bisognose di soldi, e in breve tempo si arricchisce guadagnando la stima della Londra benestante; anzi con i proventi della prima casa, ella ne apre altre aumentando ancora di più la sua già invidiabile ricchezza e conseguentemente migliorando la sua posizione sociale: le vengono aperte le porte delle più rinomate famiglie anglosassoni, notoriamente restie ad accogliere persone senza sangue nobile per nascita nelle vene.
La signora Warren è vedova ma ha una figlia che, in virtù dei soldi della madre, frequenta i più costosi collegi inglesi e viene sempre ammessa alle feste, alle ricorrenze, ai matrimoni delle signorine della nobiltà.
La madre è felice e così la figlia che sembra destinata ad un matrimonio altolocato grazie alla sua cultura, alle sue buone maniere.

Accade tuttavia che la vera professione della signora Warren divenga di pubblico dominio; da allora, sia alla madre sia alla figlia viene dato l’ostracismo da parte della “buona società”: esse non vengono più invitate ad alcun party ed isolate.
Quando anche la figlia viene a conoscenza della attività della madre, in famiglia nasce un’aspra discussione, che costituisce il clou di tutta la commedia.

G.B. Shaw porta avanti con bravura tutta la diatriba, mettendo in luce le ragioni e i torti di entrambi le parti: la figlia rimprovera alla mamma il suo turpe mestiere, che prima le ha rese ben accette ma ora le ha ridicolizzate; il suo dolore per l’ostracismo ricevuto -rinfaccia alla madre- è molto più grave di quello dovuto alla perdita delle frivolezze nobiliari.
La madre controbatte che solo in quel modo avrebbe potuto procurarsi il denaro da spendere per la sua educazione e per il suo ingresso nella “jet society” e poi aggiunge che la ricchezza dà rispettabilità.
Ella, quindi, si ritiene una buona madre e si fa vanto di ciò che ha fatto per la figlia.

In questa accesa disputa tra madre e figlia, l’autore non prende posizione pro o contro i due diversi punti di vista; si limita ad esporli lasciando al pubblico la libertà di schierarsi.
La commedia vuol essere in sintesi una critica al modo di pensare e di giudicare della nobiltà inglese che spesso predilige l’AVERE piuttosto che l’ESSERE.

Ora vorrei io chiedere ai miei lettori: siete d’accordo con i rimproveri della figlia oppure condividete le giustificazioni della madre? Meglio nella vita privilegiare la ricchezza e il benessere oppure anteporre la modestia e la moralità? Il male è creato dalla professione svolta dalla signora Warren oppure dalla società ipocrita la cui morale è piena di compromessi? Ammirate chi preferisce AVERE o chi predilige ESSERE? Un bel dilemma, vero?

Pralboino, 17 agosto 2005

Vincenzo Chiesa

Pubblicato in I nonni raccontano.