Vincenzo Chiesa: la leggenda di Alarico, re dei Visigoti (370 – 410 d.C.)

Una leggenda liberamente riscritta da Vincenzo Chiesa

Oggi lunedì 8 agosto 2oo6 intendo scrivere una storia ormai ammantata di leggenda avvenuta più di mille anni orsono nella regione dell’Italia meridionale denominata Calabria. Il fatto è avvenuto realmente ed è presente nei manuali di storia.
Nell’anno 476 d. C. cade l’impero romano d’occidente.
Roma viene conquistata da popoli barbari e incivili provenienti dal nord e dall’est: si tratta dei Cimbri e dei Teutoni, degli Unni e dei Goti, provenienti questi ultimi dalla attuale Germania; vi sono gli Ostrogoti (Goti dell’est) ed i Visigoti ossia i Goti dell’ovest; vi sono anche tra tali popoli i Sarmati (attuale Russia occidentale), i Traci e tanti altri.
I Visigoti, in particolare, sono guidati da un grande re chiamato Alarico, che li conduce di vittoria in vittoria alla conquista di terre fertili e di grandi ricchezze.
I Visigoti entrano anche in Roma e la saccheggiano per tre giorni asportando ogni cosa possibile come riserve di frumento, oro, argento, vasellame prezioso, tessuti, armi statue equestri. Viene persino rapita la bellissima Galla Placidia, sorella dell’imperatore Onorio. Solo i luoghi di culto vengono risparmiati.
Successivamente essi devastano la Campania, la Puglia e la Calabria.
Nel 410 d.C., mentre si preparano a invadere le coste africane, il loro amatissimo re Alarico si ammala improvvisamente, forse di malaria, e muore.
Lo sconforto dei Goti per la morte del loro condottiero è elegiacamente ben descritta dal nostro poeta italiano Giosuè Carducci, che riprendendo una ballata di un poeta tedesco, dice:
“i Goti piangono il gran re di lor gente”.
I Visigoti non vogliono lasciare agli italiani di Calabria i tesori da loro conquistati e nemmeno intendono sotterrare Alarico in monumento facilmente devastabile.
Scelgono, pertanto, il punto di confluenza del Busento con il Crati per scavare sul letto del fiume una tomba in cui seppellire il re, il suo cavallo, e i suoi tesori.
Viene temporaneamente deviata l’acqua in un altro alveo per procedere con gli scavi. Completata l’opera, riconducono l’acqua nel suo precedente “letto” ed uccidono tutti coloro che hanno partecipato alla temporanea deviazione del corso del fiume perché sia mantenuto il segreto sul luogo della sepoltura.
Ancora oggi, a distanza di più di mille anni il segreto del fiume Busento non è venuto alla luce: Alarico giace ancora sotto le sue acque e nessuno ha mai violato il segreto.
Altri popoli barbari hanno devastato i territori dell’impero romano ma nessuno di essi ha conservato per i posteri i tesori trafugati ai romani, tesori simbolo e prova della civiltà irradiata dalla antica Roma in tutto il mondo allora conosciuto.

 

Qui di seguito si possono leggere i versi dedicati alla leggenda e tradotti dal poeta italiano Giosuè Carducci.

La tomba del Busento
di August von Platen
( trad. G. Carducci )

Cupi a notte canti suonano
da Cosenza su’l Busento,
cupo il fiume gli rimormora
dal suo gorgo sonnolento.

Su e giù pe ‘l fiume passano
e ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono
il gran morto di lor gente.

Ahi sì presto e da la patria
così lungi avrà il riposo
mentre ancor bionda per gli òmeri
va la chioma al poderoso!

Del Busento ecco si schierano
su le sponde i Goti a pruova,
e dal corso usato il piegano
dischiudendo una via nuova.

Dove l’onde pria muggivano,
cavan, cavano la terra;
e profondo il corpo calano
a cavallo, armato in guerra.

Lui di terra anche ricoprono
e gli arnesi d’or lucenti:
de l’eroe crescan su l’umida
fossa l’erbe de i torrenti!

Poi, ridotto ai noti tramiti,
il Busento lasciò l’onde
per l’antico letto valide
spumeggiar tra le due sponde.

Cantò allora un coro d’uomini:
“Dormi, o re, nella tua gloria!
Man romana mai non v?oli
la tua tomba e la memoria!”

Cantò, e lungo il canto udivasi
per le schiere gote errare:
recal tu, Busento rapido,
recal tu da mare a mare

Pralboino 8 agosto 2006

Vincenzo Chiesa

Pubblicato in I nonni raccontano.