Domenico Margini: gli amici di Carpenedolo

Con il mio primo fucile in spalla andai un po’ dovunque a “brucia siepi”, come si dice in dialetto, cioè a caccia vagante. Il secondo anno accolsi volentieri il consiglio datomi di utilizzare gabbiette con richiami, per fare ottimi carnieri di uccelli.
L ‘anno successivo poi venni invitato dai parenti del mio amico Beppe Furia a Carpenedolo. E’ proprio qui che incominciai a praticare la caccia in pianura.

In questo paese conobbi i migliori cacciatori, i veri cacciatori del 1800. Notai subito che costoro andavano a caccia sempre accompagnati dai cani, e rimasi stupefatto quando vidi per la prima volta un cane in ferma. Ne rimasi talmente affascinato che decisi all’istante che sarei diventato un cacciatore cinofilo.
L ‘amico Italo Barone, proprietario di un negozio di biciclette, aveva una bellissima ed altrettanto bravissima cagnetta. Ne era molto geloso, ma i suoi clienti gliela chiedevano sempre in prestito per andare a caccia: naturalmente non poteva rifiutarsi in quanto avrebbe rischiato di perderli. Non sopportando più questa situazione, decise di venderla.
La comprammo io ed il mio amico Beppe Furia pagandola a rate per una cifra complessiva di lire 2.000. Pensate un po’ come eravamo ricchi in quel periodo!

Il paese allora era molto piccolo e dopo poco tempo diventai amico di tutti. Tante persone mi ritornano alla mente: Ciro Astori, direttore amministrativo della Società Elettrica Bresciana, le famiglie Azzi, Granelli, Bettari, Restelli, Lodetti e tante altre.
E cosa dire di quelle due care vecchiette che conobbi nel periodo in cui ero sfollato a Carpenedolo a causa della guerra. Abitavamo nella stessa casa. Anche negli anni che seguirono andavamo a trovarle in occasione della caccia del fine settimana e…come dimenticare quei gustosi ravioli che ci preparavano con tanto amore!

Dopo alcuni anni una si ammalò e, siccome anche l’altra più anziana non era in condizioni di poterla assistere, e nemmeno quasi di badare a sé stessa, fui incaricato da loro di curarne gli interessi. Mi diedero un libretto di banca sul quale erano depositate 17.500 lire. Presi per loro due tombe vicine così sarebbero state una accanto all’altra per sempre. Poco dopo l’ammalata morì, mentre l’altra venne ricoverata in una casa di riposo di Pontevico. Senza la sorella, però, visse ancora poco: in breve tempo la raggiunse in quella bella tomba che io avevo fatto preparare per loro.
Il libretto di banca, con ancora un buon gruzzolo depositato, lo consegnai, come elargizione di beneficienza in ricordo delle due sorelle, a una casa di ragazze-madri o di ragazze diseredate. Tenni la ricevuta di quel versamento fino a qualche tempo fa quando andò persa in occasione del mio passaggio dall’abitazione a questa Casa di riposo.
Ho voluto raccontare questo episodio non per mio orgoglio, ma per far capire quali erano i miei sentimenti ed il mio modo di agire in quel tempo.

Un giorno di un inverno freddissimo, mentre stavamo cacciando, gli amici mi invitarono a guardare verso l’argine del Chiese. Scorsi un uomo che indossava degli zoccoli di legno che poi tolse per entrare a piedi nudi in una marcita, camminando nell’acqua che gli arrivava fino alle ginocchia: un brivido mi percorse la schiena. Il temerario si chiamava Sirio Lodetti.
Mi fu presentato, ci conoscemmo e …diventammo amici. L’amicizia durò per tutto il tempo che io frequentai Carpendolo, cioè molti anni!
Quando noi andavamo a caccia con i cani, il Lodetti andava a “brucia siepi”. Durante una di queste cacce, mentre stavamo riposando, sentii il canto di uno zigolo. Mi rivolsi allora a Sirio che riposava accanto a me dicendogli: “Quell’uccello, a mio parere, ti sta prendendo in giro!” Egli mi rispose: “Scommettiamo una bottiglia di vino buono che riesco a prenderlo”. Accettai.
Prese il fucile e se ne andò. Dopo circa una mezzora sentii uno sparo lontano e dopo poco…Sirio tornò con lo zigolo nell’asola della giacca.

Ora mi ricordo anche di un altro fatterello accaduto poco tempo dopo. Avevamo deciso di andare a caccia in montagna invitati da un signore del lago d’Idro, anch’egli socio del nostro circolo perchè lavorava a Brescia. Sirio però non era abituato alla montagna e soffriva oltretutto di vertigini. Durante la discesa, su di un tratto molto ripido, lo dovetti aiutare e, mentre lo tenevo quasi per mano, mi sussurrò: “Sai, Domenico, che ho preso un tasso?” Lo volli vedere. Mi disse: ” Ce l’ho nella tasca”.
Arrivati al piano tolse dalla tasca l’animaletto che, con nostro stupore, si rivelò un bel riccio. Che risate! Il povero Sirio dovette sopportare tutta la sera i nostri lazzi. Ben li meritava!

La famiglia che mi fu più vicina a Carpenedolo fu quella di Carlo Chiarini, presidente del Circolo cacciatori della zona.
Con lui facemmo un esperimento con risultati davvero sorprendenti. Lasciammo liberi sul monte di Botti otto lepri femmine e due maschi che ci diedero alla fine un centinaio di esemplari. Un risultato eccellente per quei tempi! Altri tentarono di imitarci ma con risultati molto modesti.
Ogni giorno di più gli anziani cacciatori di Carpenedolo diventavano sempre più orgogliosi di noi giovani.

Un altro caro ricordo è legato a questa località e ad un amico che si chiamava Carlo Chiarini. Una mattina lo incontrai sul greto del fiume Chiese; io ero con altri amici.
Sospettavamo la presenza di lepri nascoste in un mucchio di rovi. Perciò preparammo due pali per poter transitare su quegli arbusti e cogliere così di sorpresa le lepri. Decisi di fare io il primo passo, mentre gli altri aspettavano con i fucili pronti. Riuscimmo a prenderne sette.
Carlo non fu molto contento di questa strage e, bonariamente ma con fermezza, ci invitò a smettere e ad andare a casa.

Il ricordo di tutta questa gente così generosa e buona nei miei confronti rimane ancora vivo, anche se molte persone ormai ci hanno lasciato da tanto tempo.

Ma di Carpenedolo devo parlare ancora, perchè i ricordi sono tanti e tutti interessanti. Un esempio.
Dopo una battuta di caccia stavo lavando i miei stivali infangati alla fontana quando mi si presentò il maresciallo dei carabinieri, mio amico, con l’invito a portarmi in caserma perchè imputato di aver rubato una bicicletta.
Naturalmente caddi dalle nuvole. Erano presenti al colloquio anche l’allora podestà Carlo Chiarini ed il Commissario politico fascista.
Alle contestazioni del maresciallo, risposi che la bicicletta in questione l’avevo acquistata a Brescia.
Per mia fortuna intervenne un mio carissimo amico, Marcello Pari, che conosceva benissimo il furfante che l’aveva rubata a Carpenedolo e poi portata a Brescia. Il ladro fu prelevato e portato subito in caserma. Tutto fu chiarito con la soddisfazione mia e degli amici con i quali andai a festeggiare la…ritrovata libertà.

Durante la chiusura della caccia io ero sempre e comunque a Carpenedolo. Si andava a pesca nel fiume Chiese che ci elargiva pesci in gran quantità che poi consumavamo in allegria.

Domenico Margini

Pubblicato in I nonni raccontano.